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Parole

Aggiornamento: 21 ott 2021

Aveva un modo tutto suo di usarle.



Intanto era misurato, non strabordava mai, ma non era quello. Erano le parole che sceglieva, come le metteva in fila una all’altra, erano quelle pause sottolineate da un sorriso chirurgico, che tu restavi lì incantato. E tra quelle parole non ce n’era mai una in più, piuttosto una in meno, ma non una in più. Quando gli chiedevo come facesse, liquidava la faccenda dicendo che non amava gli sprechi, poi rideva e ordinava una birra, difficile bevesse altro. Ci impazzivo sulla sua straordinaria capacità di sintesi. Eppure riusciva a farmi vedere tutto quel mondo, tutta quella vita, tutti quei colori.


Successe un pomeriggio al tavolino di un bar da turisti davanti al mare della Versilia. L’inverno aveva appena finito di graffiare e la temperatura permetteva la seduta all’esterno; data l’ora, l’aperitivo ci stava. Ci piaceva bere davanti al mare, a chi non piace? Mentre aspettavamo il cameriere lo guardavo girarsi il tabacco, lo faceva con compiacimento, era un fumatore, certo, ma credo che in realtà gli piacesse il rito. Apprezzavo quel suo modo di godersi le piccole cose, alla fine sono quelle importanti. Eravamo amici da tutta la vita e a dispetto della distanza, delle scelte personali e del tempo che potevamo dedicarci, poco in realtà, ma sempre intenso, vibrante, appassionato.

La conversazione viaggiava brillante tra questo, quello e quell’altro, ma quell’altro questa volta era un romanzo. Non partivo da zero, già scrivevo, venivo dalle sceneggiature, ma non era la stessa cosa e avevo un fottuto bisogno della sua benedizione.

Un romanzo. A quella parola alzò lentamente la testa, il suo sguardo aveva una cifra. Se c’era una sacralità su questa terra atteneva a libri e dischi, almeno per lui e su questo era poco disposto a mediare. E fu dentro a quello sguardo, dentro ad una di quelle sue pause che dicevano tutto quello che le parole non sapevano dire, che trovai la risposta. In realtà dentro a quello sguardo c’era di più, c’era già il libro in quella pausa, c’era la chiave per scriverlo in quel silenzio così vivido. Sì, ora ce l’avevo chiaro che le parole ti devono portare fino a lì. Non devono andare oltre, oltre ci sono le sensazioni, quelle non si possono scrivere, sono personali. È quello il bello. Se volevo scrivere un buon libro questo dovevo fare, arrivare solo fino a lì.


«Sai già di cosa parlerà?»

«Di noi.»












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